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Imperdonabile

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Studio N 1  – Destini

Un imprudente sguardo dentro l’infanzia per un viaggio sottile teso tra bellezza e paura ispirato a Cristina Campo, alla sua poesia, al suo “imperdonabile” pensiero

“..l’amicizia per il mostro si rivela una lunga tenera crudelissima lotta contro il terrore, la superstizione, il giudizio secondo la carne”.

 

Scheda spettacolo

Eppure amo il mio tempo perché
è il tempo in cui tutto vien meno…
… l’era della bellezza in fuga,
della grazia e del mistero…

Dice Cristina Campo che la nostra è l’era della bellezza in fuga. Un tempo il poeta era là per nominare le cose… oggi sembra là per accomiatarsi da loro… per ricordarle agli uomini, prima che siano estinte… Da questa dichiarazione di emergenza è nato il progetto di indagare l’opera e le suggestioni di una delle più schive e sconosciute scrittrici italiane, maestra segreta del ‘900.
Ma la dissidenza rispetto al presente che la poetessa ci suggerisce, non nega l’amore per il proprio tempo. Piuttosto genera quell’incredulità nell’onnipotenza del visibile e una continua attenzione percettiva all’invisibile: una sorta di allenamento a un altro sguardo, capace di cogliere il mistero nascosto nelle cose e di svelarne la bellezza.
Come Persefone nel mito attratta dal fiore azzurro visita il mondo sotterraneo, così lasciandoci attrarre dalla bellezza, cerchiamo il senso profondo delle cose spiccandoci il cuore dalla carne come l’eroe della fiaba.
L’invisibile, stimolo costante dell’opera letteraria come della vita della Campo, e ricerca di un mistero oltre le cose si è fatta, così, stimolo anche per il nostro lavoro teatrale.

La traccia drammaturgica segue la storia di Belinda e il mostro ma ne frammenta la linearità, aprendo deviazioni impreviste, quasi mappe di ulteriori paesaggi (il roseto, il castello, il bosco) o scansioni temporali (l’ora della cena, il ritorno a casa, la fine dell’incantesimo) e la favola si fa piuttosto stimolo alla ricerca di uno sguardo eccezionalmente attento, che possa cogliere l’invisibile nelle cose, suscitando “trasformazioni”.
In scena un lungo tavolo che sedimenta in molteplici piani spazio-temporali l’azione scenica, ne amplifica il valore come luogo fisico protraendolo in spazio simbolico.
Attorno ad esso si muovono i personaggi, protagonisti della fiaba che si trasformano anche in figure-funzione che attraversano i mondi creati dai tragitti drammaturgici.
Gli spettatori, testimoni del gioco scenico, protratto come un sogno d’infanzia nello spazio della con-vocazione a teatro, sono invitati al rito comunitario dell’ascolto.
Tutt’intorno è nostalgia di una bellezza che non sia il superficiale desiderio di apparire coltivato dalla nostra mortifera società edonistica ma profondo richiamo al mistero della vita stessa.