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Viola di mare

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Spettacolo teatrale
ispirato al romanzo “Minchia di re” di Giacomo Pilati (ed. Mursia)

L’originale riscrittura per il teatro di Viola di mare trasforma il romanzo del siciliano Giacomo Pilati “Minchia di re” in un intenso monologo, dove l’attrice, in abiti maschili, rivive l’incredibile storia di Pina, la donna che si traveste da uomo per amore.
In un mondo incapace di accogliere la diversità Pina, per conquistare la sua libertà, sarà costretta a camuffare se stessa, a vivere ogni giorno come fosse una sfida.
Il prezzo della sua ribellione sarà un irrimediabile esilio da sé e un incespicare dentro abiti estranei, che le si appiccicheranno addosso come una seconda pelle, spingendola anche in territori sconosciuti e imprevisti. In una sorta di epica contemporanea i quadri della vicenda delineano un percorso, non sempre progressivo, che è anche uno sprofondare dentro di sé e un fare i conti con la propria coscienza.

Scheda spettacolo

Il lavoro è ispirato al romanzo di Giacomo Pilati “Minchia di re” che, in dialetto siciliano è il nome della “viola di mare”, il pesce ermafrodita che diventa femmina per deporre le uova e poi ritorna maschio.
Ispirata a una vera vicenda siciliana, la storia racconta di una giovane donna su un’isola, che, in piena vicenda garibaldina, s’innamora di un’altra donna e, per poter vivere il suo amore proibito, sfuggendo alla furia di suo padre e alla grettezza del paese, accetta di vivere travestita da uomo per il resto della sua vita. Con la nuova identità Pina eredita anche il potere che prima era di suo padre: comanderà gli operai delle cave di tufo e la bugia del suo corpo di maschio diverrà l’unica verità, sigillata dall’omertà di tutti.
In un mondo incapace di accogliere la diversità Pina, per conquistare la sua libertà, sarà costretta a camuffare se stessa, a vivere ogni giorno come fosse una sfida. Il prezzo della sua ribellione sarà un irrimediabile esilio da sé e un incespicare dentro abiti estranei, che le si appiccicheranno addosso come una seconda pelle, spingendola anche in territori sconosciuti e imprevisti.
In un’originale riscrittura drammaturgica lo spettacolo trasforma la storia in un serrato e avvincente monologo, dove l’attrice, in dichiarati abiti maschili, riattraversa le tappe dell’incredibile avventura della protagonista, svelando nel travestimento anche la finzione teatrale. In una sorta di epica contemporanea i quadri della vicenda delineano un percorso, non sempre progressivo, che è anche uno sprofondare dentro di sé e un fare i conti con la propria coscienza.

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Evocati dalla fisicità inquieta e mutevole dell’attrice e dalla sua voce, i vari personaggi mostrano i loro diversi punti di vista sulla vicenda, mentre il pubblico aspetta, con la protagonista, che un ritratto venga a rivelare finalmente la sua vera identità, in un crescendo di suspense e tensione drammatica che conduce a un inaspettato finale (diverso, curiosamente, sia da quello del romanzo, sia da quello del film che se n’è ispirato) e a un epilogo che riconsegna una speranza di un cambiamento.
La ribellione di Pina, la sua sfida, il solco della sua vita divisa in due, saranno per l’isola – e per noi – segnale di un possibile mutamento: un esempio di libertà che andrà a incidere sugli animi più della legge dei potenti, fatta di promesse e di catene.
Lo stile asciutto ed essenziale dà al lavoro un’agilità e un’incisività che parlano ben oltre le parole.
La metamorfosi di Pina si esprime nel corpo-voce dell’attrice, nella sua fisicità inquieta, nelle sfumature che ne raccolgono gli stati emotivi.
Eccola allora circoscrivere lo spazio con semplici movimenti che definiscono luoghi, spazi e dilatare o accelerare il tempo nell’invisibile della memoria.
O lasciare che sul suo corpo s’inscrivano altre figure: il prigioniero Cecè, la figura dolente della madre, il duro profilo di suo padre, l’angelico apparire di Sara, l’amore di una vita.
La scrittura drammaturgica si sviluppa con la medesima essenzialità del lavoro attoriale: sedimenta le sequenze indispensabili a coagulare la vicenda sulla scena, a renderne memorabili i passaggi, a tratti segnati da scritte di luce.
Le sonorità, create dal percussionista Alfredo Laviano, segnano nello spettacolo il tempo dell’azione, individuano i passaggi, interrompono o spiazzano il fluire della memoria, come una partitura drammaturgica parallela.
Nello spazio, pensato da Giancarlo Gentilucci, si staccano come affioranti dalla crosta del tempo pochi elementi scenici che, assieme alla luce, creano i luoghi della memoria, inventano squarci che diventano spazi, che si fanno botola, mare, ritratto.