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I tamburi dell’imperatore

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info

I tamburi dell’imperatore

percorso circolare per pubblico e due personaggi
dedicato a “L’imperatore Jones” di Eugene O’ Neill

L’originale progetto congiunto di Specchi Sonori e Rovine Circolari s’ispira a L’imperatore Jones di Eugene O’Neill, il grande drammaturgo statunitense, premio Nobel per la letteratura e uno dei padri del Teatro nordamericano. A partire dalla storia del protagonista Jones – che una ribellione dei sudditi costringe a una fuga nella foresta e a una notte di incubi e di allucinazioni – la riscrittura di Isabella Carloni, qui anche interprete, la drammaturgia visiva di Marianna de Leoni e quella sonora di Claudio Rovagna ricreano uno spazio-isola che coinvolge e ingloba la platea stessa. Nella scena dilatata i protagonisti della vicenda – Jones, l’imperatore, nero e Smithers, il suo alter ego o demone/accusatore, bianco – si muovono a stretto contatto con il pubblico, immerso esso stesso nelle visioni di paure nascoste, di fantasmi contemporanei e ricordi di un’antica bellezza.

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Scheda spettacolo

L’imperatore Jones ( Stati Uniti 1920) del drammaturgo americano Eugene O’Neill, – cui si ispira I tamburi dell’imperatore – racconta la storia di Bruto Jones, un afroamericano che uccide un uomo, va in prigione, fugge in un’isola dei Caraibi e si autoproclama imperatore. Una ribellione dei sudditi lo costringe a una fuga nella foresta e a una notte di incubi e di allucinazioni…

Già agli inizi del ‘900 O’Neill fondeva nella sua drammaturgia di quest’opera immaginazione romantica, e amaro realismo, mito classico e nuovi feticci, tinte metafisiche e immersioni psicanalitiche.
Ne I tamburi dell’imperatore i piani di quella lettura restano lo sfondo su cui si sviluppa un’ulteriore ricerca dove, accanto a una originale rielaborazione del testo, elementi di una drammaturgia visiva, sonora e vocale rimettono in gioco l’intero spazio scenico e diventano altrettanto fondanti della struttura creativa.
Nella nostra libera versione dell’opera di O’Neill, infatti, lo spettatore è immerso in uno spazio circolare al quale concorre tanto la riscrittura del dramma, con intrecci e ombre di testi originali e echi da Conrad, elaborata da Isabella Carloni, quanto immediatamente anche il meta-testo visivo e sonoro elaborato dal Teatro dei Luoghi di Marianna de Leoni e Claudio Rovagna per Specchi Sonori.
A Isabella Carloni anche il compito di abitare quel luogo e di esplorarlo con i suoi interventi di drammaturgia vocale e di evocare fisicamente i due personaggi-figure protagonisti della vicenda, Jones (l’imperatore) e Smithers (il suo demone/accusatore): in uno spazio scenico, che esplode e si ricontrae, secondo un movimento vitale della scena, che coinvolge e ingloba la platea stessa, essi emergono dallo sfondo, come le figure di Bacon dalle loro campiture, per tornare a scomparirvi come in uno spazio onirico.
E pur seguendo il filo della storia di O’Neill, quelle figure diventano, nella nostra riscrittura, prototipi dell’umano che abitano la scena dilatata come anime perse del Nostro Occidente che consuma – il bianco in modo più subdolo e strategico, il nero in modo più goffo e improvvisato – e ci riconsegnano simulacri di un’umanità perduta e venduta al dio Denaro.
Forti di un’eredità antica, in una sorta di evocazione pirandelliana rovesciata, si spoglieranno anch’essi del loro ruolo di rappresentatamburi03zioni, per lasciare al pubblico il compito di rinascere come comunità consapevole.
In quello stesso spazio dilatato infatti dove il pubblico non è solo A teatro, ma NEL Teatro, e in una scena che esso stesso anima, anche lo spettatore viene a vivere in prima persona gli echi della vicenda, la fuga da sé, o l’essere rincorso e vinto dalle proprie paure e a “sapere” dell’inconsistenza del reale di fronte alla maestosa grandezza dei nostri sogni e dei nostri incubi.
Con la sfida del luogo scenico, infatti, anche i sensi del dramma si frantumano e si amplificano lasciando emergere sensi nascosti: lo stesso gesto sacrificale insito nell’atto teatrale si insinua nella percezione di sé e di una realtà fatta illusione dentro e fuori dal teatro
Si affaccia dall’opera riattualizzata la condizione di un occidente assediato dalla paura di un mondo diverso che non vuole guardare le sue colpe, ma cerca di sfuggirle nel deserto vuoto di una presunta bellezza del palazzo.
Come se l’orrore della società contemporanea, l’estrema esibizione del dolore e il moltiplicarsi delle immagini che anestetizzano il nostro sguardo e la nostra indignazione costringessero il teatro, come luogo del rito comunitario, a rompersi, spezzarsi, perdersi nel mondo per riconquistare – FORSE – il suo compito antico.